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I banchieri anarchici degli scontri di Roma

Foto tratta da Facebook
A pochi giorni dalla manifestazione del 15 ottobre di Roma né ho sentite e lette tante. C’è chi inneggia a chi ha fatto la sua guerriglia (e sottolineo sua); chi addita quelle stesse persone incappucciate come teppisti. Cosa sono e cosa rappresentano io non lo so. Ma il fenomeno più che etichettato andrebbe capito.

Dico questo pure non accettando quel tipo di violenza. Cosa avessero in mente quelle 500 persone che hanno scelto di fare gli scontri, sabato scorso, nemmeno questo so. Ma so bene che centinaia e centinaia di migliaia di persone sono scese in piazza per manifestare un dissenso e per andare oltre il rituale e stanco comizio finale. Sabato scorso le strade e le piazze di Roma avrebbero dovuto essere la sede del tentativo di elaborare un progetto politico per quanto possibile unitario, per quanto possibile condiviso. Così non è stato perché l’un per cento dei manifestanti hanno deciso che la piazza dovesse essere la loro.

Si dirà che alla fine, la stragrande maggioranza delle persone che hanno manifestato a Roma hanno potuto continuare il corteo, pure deviato, pure spezzato, pure non con le modalità che erano previste. Certo, è vero. Mezzo milione di persone ha comunque potuto cantare, urlare la propria indignazione, manifestare. Ma che senso ha manifestare un’idea se poi non viene ascoltata? Cosa rimane del diritto di espressione, di dissenso se poi non si ha modo di farsi ascoltare? Ecco, io credo che sabato a Roma, 500 persone si sono appropriate della piazza in questo senso: hanno imposto la loro forma di dissenso. E soprattutto, lo hanno fatto da soli.

Tra i tanti commenti che mi è capitato di leggere e ascoltare, ci sono anche quelli che più o meno esplicitamente lasciano intendere una certa stanchezza a manifestare pacificamente il dissenso. Perché, secondo loro, non serve più a niente. Perché tanto quelli là, quelli della casta, i padroni, i banchieri, i finanzieri e via cantando rimarranno al loro posto. Perché per cambiare le cose, le soluzioni pacifiche non sono più sufficienti.
Non escludo che possa essere così, ma in questo ragionamento si commette l’errore di fondo di separare lo strumento del dissenso dai soggetti che dovrebbero praticarlo; i modi dell’agire da chi dovrebbe agitarsi. Se qua sta l’errore di fondo dell’analisi, come credo, è del tutto inutile stabilire se una modalità di espressione del dissenso, o di una lotta politica, sia giusta o sbagliata a prescindere da ogni altra cosa che non sia l’obiettivo che si vuol raggiungere.
L’aspetto fondamentale da considerare è che i cambiamenti vanno costruiti, oggi, qua dove siamo e con la persone che ci sono, con la consapevolezza del contesto in cui sono calate. Pensare di poter basare la propria azione politica, qualunque essa sia, considerando i tempi, i luoghi, i modi e le persone per come vorremmo che fossero, anziché per quello che realmente esiste, è completamente inutile. Anzi peggio: è uno spreco di energie.

Di più, è una dispersione di energie. Perché c’è da chiedersi, ad esempio, se a leggere i giornali ed a parlare con le persone, è cambiato qualcosa rispetto al giorno prima della manifestazione; se qualcuno più distratto sulle questioni politiche, ma che ugualmente non ce la fa ad arrivare alla fine del mese, a studiare, a pagare la mensa all'asilo del figlio, oggi sa cosa contro cosa si è manifestato il 15 ottobre e quali proposte sono in campo. E c’è da chiedersi se chi sabato scorso a Roma non c’era, domani ci sarà.

Per produrre un cambiamento reale, c’è bisogno di una massa che, per dirla con Gramsci, sia entusiasta nell'agitarsi, organizzata ed intelligente. Non c’era niente di tutto questo nella forma di lotta di quelle 500 persone che il 15 ottobre a Roma hanno preferito gli scontri. Quei 500 erano soli. E ricordano, nella loro lotta solitaria, l’anarchico del racconto di Fernando Pessoa, che valutando difficile ottenere la libertà dalle costrizioni sociali capitalistiche attraverso l’agire collettivo, decise di lottare da solo. Quell’anarchico liberò se solo stesso e solo diventando un banchiere.

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